Sono una psicologa e, quando lo dico, mi scontro tra due luoghi comuni: la paura e il tabù dell’essere definito “matto” e il “tutti dovrebbero andare dallo psicologo”. Due visioni opposte, che non aiutano a definire perché si dovrebbe o meno chiedere aiuto. Quindi, chi deve andare dallo psicologo? Come sempre, non c’è una risposta giusta e una sbagliata, l’unica certezza che abbiamo è che, a queste domande, risponderò sempre con dipende.
Non esistono infatti criteri di inclusione o di esclusione per una richiesta di consulenza psicologica. L’unico criterio a cui fare riferimento è il proprio vissuto: non vado dallo psicologo perché secondo Google ho questo o quello, ma perché sento che ne ho bisogno, a prescindere da quale sia il motivo. In parole più semplici, ci va chi sente di volerci andare. Non è una diagnosi o una definizione che può scegliere al posto nostro, ma solo come ci sentiamo.
Una cosa che capita spesso mentre lavoro è sentire un senso di colpa perchè “il mio problema non è così grave, ci sono persone che vivono situazioni peggiori della mia“. E ogni volta mi chiedo quante persone si sentono così e non chiedono aiuto, pensando che la loro difficoltà “non sia abbastanza“. Non esiste una classifica del dolore tanto per iniziare, quanto non esiste un motivo per cui sia o non sia necessario uno psicologo. Ciò che fa da discrimine è la mia verità soggettiva, ovvero come percepisco una data condizione come un disagio che non riesco ad affrontare da solo.
Si tratta di prospettiva: non è il “problema” che definisce il bisogno o meno di uno psicologo. Solo io posso sentire quanto una situazione o una sofferenza impatta sulla mia vita, così come solo io posso sentire se ho bisogno o meno di un aiuto, a prescindere dal “problema”. Per fare un esempio, posso essere in grado di elaborare un lutto, ma avere paura a parlare in pubblico. Se questo per me è stressante, uno scoglio importante da superare, è bene che ci possa lavorare con uno psicologo.
Il bisogno soggettivo mi può essere utile per mantenere una buona motivazione durante il percorso. Andare dallo psicologo è faticoso, richiede un impegno molto grande a livello emotivo, cognitivo e anche economico. Se sento che è necessario per il mio bene, è più facile gestire la fatica. C’è da gestire la frustrazione di non trovare risposte o soluzioni immediate e non si può fare senza una buona motivazione interna. Se lo faccio perché me lo ha suggerito il fruttivendolo, ma non ne sono convinta, difficilmente riuscirò a fare un buon lavoro. Magari il mio fruttivendolo è molto perspicace, un percorso psicologico mi farebbe bene, ma se io non ne sento il bisogno o se non credo faccia per me, come posso impegnarmi?
Non è un tema da poco: capita spesso che ci siano persone molto sofferenti che beneficerebbero molto di una psicoterapia o di un sostegno, ma che non vogliano farlo. C’è bisogno, ma non c’è volontà. Ed è un peccato, ma non si può convincere qualcuno che non ne vuole sapere. Capita, credo che chiunque di voi abbia in mente almeno una persona che corrisponde a questa descrizione. Cosa si può fare? Poco nel breve periodo, a parte stare vicino, senza cercare di convicere come un venditore incallito che cerca di appiopparti il suo prodotto. Sul lungo periodo si può fare di più, essendo da esempio, parlando della propria esperienza nel chiedere aiuto in momenti critici. Facendo educazione alla cura di sè, che è poi uno degli scopi di questo blog.
Ma alla fine, “tutti dovrebbero andare dallo psicologo?” Se restiamo sul significato letterale, ognuno di noi può trovare degli aspetti di sè da migliorare. Ci sarà sempre qualcosa di noi su cui possiamo lavorare. Questo non basta per dare una risposta affermativa. Alle volte è anche importante trovare da soli le risorse interne per affrontare le difficoltà.
Come sempre, non è semplice trovare risposte univoche o certezze assolute. Una cosa però potete farla: ascoltatevi e sentite cosa provate, senza giudicarvi, con sincerità e rispetto. Lì inizierete a trovare le prime risposte.