Dire addio è una cosa seria. Esistono un sacco di addii: a persone che non ci sono più, a fidanzati, a posti di lavoro, a paesi. Ognuno, nella propria storia ha i suoi addi, tutti diversi. Poi esistono gli addii mancati, quelli che non si sono potuti dire, celebrare, ritualizzare.
Sono una psicologa e ho una categoria particolare di addi: il saluto a chi ha terminato una psicoterapia. Elemento spesso sottovalutato, ma è vero, le terapie finiscono. Ogni persona e ogni conclusione sono diverse, ma ci sono le terapie che finiscono perchè devono finire. Dopo un cammino insieme si è arrivati alla meta ed è giusto dirsi addio.
Nel primo colloquio, terapeuta e paziente si incontrano, si presentano, decidono insieme come lavorare, che obiettivi porsi. Si inizia dunque con l’idea di terminare. La fine è già presente nell’inizio. Non a caso Jung parlava di coesistenza degli opposti.
Dirsi addio alla fine di un lavoro terapeutico è un momento unico, irripetibile e pieno di significati. Bisogna farlo con serietà perchè è il momento in cui si dà significato a tutto ciò che si è vissuto. Tutta la terapia è una co-costruzione e ricostruzione di significati. All’ultima seduta, però, tocca il compito di raccogliere il senso di tutto il lavoro e non solo. Per me è importante anche aprire una finestra sul futuro: terminare una terapia è proiettarsi sul mondo in una veste nuova.
L’ultima seduta è un rito e come tale ha un significato profondo. Bisogna sapere che si sta lasciando qualcosa e poterselo dire. Il Giovane Holden lo diceva così:
“Voglio dire che ho lasciato scuole e posti senza nemmeno sapere che li stavo lasciando. È una cosa che odio. Che l’addio sia triste o brutto non me ne importa niente, ma quando lascio un posto mi piace saperlo, che lo sto lasciando. Se no, ti senti ancora peggio”
Terminare una terapia può far paura, può rendere felici, confusi, fieri. Spesso tutto insieme. La ritualità dell’addio contiene e dà forma a tutte le emozioni. Stavo chiudendo una terapia quando ho fatto un sogno: una bambina sola e confusa doveva affrontare una gara. Mi avvicinavo a lei e le dicevo: “qualsiasi cosa succeda, sei pronta”.
Bibliografia:
Salinger J.D., “Il giovane Holden”, 1961, Giulio Einaudi Editore