Il primo appuntamento (con uno psicologo)

29 Ago 2019 | Psicologia, Psicologo Torino, Psicologo Volvera

Decidere di andare da uno psicologo è un grande passo della vita: per alcuni prendere un appuntamento è frutto di ricerche, ripensamenti, chiamate iniziate e poi buttate giù, per altri invece è un passo veloce, si prende il telefono in mano e via. Poi arriva il giorno del primo colloquio, un primo appuntamento sui generis, non si hanno grandi informazioni su come sarà. C’è spesso un alone di mistero che genera domande, dubbi, anche un po’ di agitazione riguardo al primo colloquio con uno psicologo. Allora diciamo cosa succede e cosa ci si dice al “primo appuntamento”.

Iniziamo a pensare che, come in ogni altra relazione, è un momento di incontro, in cui ci si presenta e ci si inizia a conoscere. Voi portate una richiesta di aiuto e lo psicologo vi dice cosa può fare per voi: più riassunto di così non potevo fare. Ma questa è anche la versione delle cose che non tiene conto delle emozioni. Posso essere preoccupato per questo colloquio perché non so che succederà: devo parlare? Devo raccontare della mia infanzia? Lo psicologo parlerà o starà zitto tutto il tempo? Quanto costa? Quanto dura? Molto probabilmente sono queste le domande che vi fate il giorno prima del colloquio.

Cosa devo dire? Cosa mi devo aspettare?

Essere emozionati è normale, anche porsi tutte le domande su cosa accadrà: anche io sono emozionata prima di conoscere un nuovo paziente, potrebbe essere l’inizio di un nuovo percorso, mi stupirei se non lo fossi. I primi colloqui sono molto simili per alcuni aspetti, ma possono essere diversi per tanti altri. Prima di tutto ogni psicologo fa riferimento ad un modello teorico specifico, per cui avrà un proprio modo di condurre un nuovo colloquio, anche in virtù delle proprie caratteristiche individuali. In modi diversi, raccogliamo comunque tutti, a prescindere dal nostro orientamento, una serie di informazioni: quale motivo vi porta da noi, da quanto tempo vi sentite così, ad esempio.

Devo parlare della mia infanzia? So che nei film si va subito a parare sul complesso edipico e sul rapporto con la madre (anche voi fan di Woody Allen?), nella realtà si tratta sicuramente di informazioni importanti, ma non è detto che vengano affrontate nel primo colloquio. Dipende dai casi, se sono elementi ritenuti importanti dallo psicologo, se preferisce raccogliere tutte le informazioni sulla vostra vita nel primo colloquio, oppure se voi ritenete importante raccontarle subito. Avere informazioni sull’infanzia e sulle diverse fasi di vita ci aiuta a capire meglio il mondo in cui siete cresciuti e avete imparato a relazionarvi, ci aiuta a vedervi inseriti in un contesto fatto in un certo modo e non come una persona scollegata da tutto. Quindi sì, si potrebbe parlare della propria infanzia.

Lo psicologo farà delle domande? Probabile: potremmo chiedervi delle informazioni per capire meglio cosa ci state raccontando, o anche domande molto semplici come che lavoro fai? dove vivi? sei mai andato prima da uno psicologo? Niente di difficile insomma. Alle volte capita, ancora prima del colloquio, alla telefonata per chiedere la consulenza, che le persone si dimentichino di dire il nome. Niente di strano, spesso c’è così emozione che si perdono i punti fondamentali. Banalmente potremmo chiedervi il vostro nome, quindi, no panic.

Lo psicologo parlerà o sarà di nuovo lo stesso di Woody Allen, zitto e magari addormentato dietro il vostro campo visivo? Abbiamo il dono della parola, è un colloquio, non un monologo! Parlare ci serve per entrare in relazione con voi, ma anche per spiegarvi delle cose molto pratiche: cosa possiamo fare per voi, come si può prendere un altro appuntamento, come funziona un percorso di psicoterapia (se è ciò che fa per voi), come pagare e un sacco di altre informazioni pratiche.

C’è da firmare?

Le informazioni pratiche non sono poche: ci sono degli adempimenti legislativi da rispettare. Anche se non ci vedremo mai più, siamo a conoscenza di alcuni vostri dati (i dati per fare la fattura, come indirizzo, codice fiscale, ecc) e informazioni personali. Per questo vi faremo firmare un modulo privacy e vi spiegheremo come tratteremo i vostri dati. In secondo luogo c’è il consenso informato, in cui ricapitoliamo per iscritto le informazioni che vi abbiamo dato a voce: come si svolgerà il lavoro, tempi, costi, modalità previste. Può sembrare noioso, aspettavate da tempo il momento per parlare di voi e iniziare a lavorare e noi vi facciamo gli spiegoni. Capisco, ma si tratta di cose importanti: sarete sicuri di come usiamo le informazioni che abbiamo, saprete come lavoreremo. Insomma, non vi venderemo pentole a tradimento, vi diciamo come pensiamo a voi anche quando non siamo in colloquio.

Certezze?

Ci sono tabelle, certezze, tracce da seguire per arrivare preparati al primo appuntamento? No, ogni colloquio è diverso anche se le finalità sono simili. Posso dirvi come faccio io: come tutti i miei colleghi, cerco di mettervi a vostro agio, di modo che possiate sentirvi nella condizione migliore per raccontarmi che succede. Non c’è una regola precisa, ognuno si sente a proprio agio in modo diverso, diciamo che si fa il meglio per riuscirci. Di solito ascolto molto, perché la maggior parte delle volte accolgo l’urgenza di raccontarsi. Anche questo aspetto non è definitivo, per alcune persone è più rassicurante avere prima delle spiegazioni, che sia io a parlare e a raccontare. Spesso non mi basta un solo colloquio per avere tutte le informazioni che mi servono per progettare con voi come muoverci. Ve lo dico e vediamo come fare.

Lo psicologo quindi parla, può chiedere informazioni, vi spiega come lavora, vi spiega come tratta i dati, ascolta quello che avete da dire, cerca di capirvi al meglio e di progettare con voi ciò che crede sia di aiuto, forse non è vero che non ci sono certezze.

 

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