Quando finisce una psicoterapia?

3 Giu 2021 | Psicologia, Psicologo Torino, Psicologo Volvera

Sulla psicoterapia nella pratica (quanto dura, quanto costa, cosa si fa, come funziona), ho scritto un bel po’ di articoli. C’è un aspetto però, di cui non ho ancora parlato, forse perché non è il più immediato, ma non per questo è meno importante: come funziona la chiusura di un percorso di psicoterapia? Cercherò di descriverlo e di provare a rispondere ai dubbi più frequenti.

Quando finisce una psicoterapia?

Ogni psicoterapia è diversa, così, anche la risposta a questa domanda non potrà essere standard. Dovremmo infatti valutare ogni singolo caso per dare una risposta sensata. In linea di massima, finisce quando si è pronti, che non sempre coincide con il momento in cui si raggiunge l’obiettivo che ci si era prefissati. Ci si sente pronti? O è il terapeuta che vede che si è pronti? Mi piace rimarcare quanto il percorso terapeutico si faccia assieme, e assieme si possano definire le tappe importanti come la chiusura: ci si prepara per finire una terapia, non si corre, ci si arriva col giusto tempo.

E se paziente e terapeuta hanno due visioni diverse? Nessun problema, se ne parla, si cerca di capire la discrepanza di punti di vista e si trova la strada migliore. Questo è il motivo per cui è impossibile stabilire a priori quanto dura una psicoterapia, ma rappresenta la libertà di lavorare con i tempi che ci appartengono. Abbiamo la possibilità di elaborare una chiusura a modo nostro, con ritmi a noi consoni.

Tutte le terapie sono diverse

Tutte le terapie sono diverse dicevamo: alcune sono più orientate ad un obiettivo concreto, altre meno, altre ancora ridefiniscono obiettivi e intervento in corso d’opera. Può capitare infatti, che arrivati a chiusura di un percorso, si decida di aprire altre porte, per lavorare su aspetti che non sono stati approfonditi. Qui vorrei fermarmi un attimo perché è qualcosa di molto importante: quando si entra in terapia si lavora su tutta la persona, ma anche no. Mi spiego: inevitabilmente, qualsiasi parte di sé si decida di “ristrutturare”, porta dei cambiamenti di riflesso anche a tutto il resto. Ma non si fa mai il passo più lungo della gamba: il lavoro terapeutico sarà tarato sulla richiesta iniziale e su quanto si può fare in quel determinato momento. Il senso è che non si rincorre un ideale, ma si fa il meglio per quel momento per quella persona.

Può capitare, quindi, che all’inizio si concordi un piano di lavoro con determinate caratteristiche e obiettivi. Nel corso della terapia però, si sviluppano capacità, si ritrovano energie, per approfondire o per toccare altri aspetti che inizialmente si era deciso di non toccare. Magari si sente l’esigenza di lavorare anche su questi e allora si “ricontratta” il lavoro e si prosegue con una nuova meta. La fine della terapia viene allora spostata perché si decide di aggiungere un pezzo, di fare una sorta di upgrade.

In una situazione come questa, la risposta alla domanda “quando finisce la terapia?” cambia a seconda del momento in cui la si chiede, riportandoci alla solita parola: dipende.

Chi decide quando finisce una psicoterapia?

A me piace dire che si decide assieme, ma dobbiamo sempre tenere a mente la diversità dei singoli casi. Sia il paziente sia il terapeuta possono decidere di chiudere una psicoterapia, così come lo si può concordare. Quando nel primo colloquio si firma il consenso informato, si dedica uno spazio a questo:

In qualunque momento la professionista potrà interrompere il trattamento psicoterapeutico per
necessità e/o impedimento personale, o per esigenze relative alla psicoterapia stessa, e potrà
anche consigliare ai pazienti di avvalersi di un altro psicoterapeuta

L’interruzione del trattamento da parte del paziente può avvenire in qualsiasi momento. In tal
caso il paziente si impegna a comunicare alla professionista la volontà di interruzione e si rende
disponibile ad effettuare un ultimo incontro finalizzato alla sintesi del lavoro svolto fino ad allora.

Ho riportato due voci presenti nel mio consenso informato per sottolineare due aspetti che possono portare alla fine di un percorso di psicoterapia: la scelta del terapeuta o la scelta del paziente. In questi casi parliamo di chiusure particolari, in cui non si porta a compimento il piano di lavoro previsto.

Quando a decidere è il terapeuta

Parlerò dopo di quando il terapeuta propone di finire la terapia perché ritiene che sia il momento giusto, ora mi soffermo su quei casi, rari, ma che possono capitare, in cui il terapeuta chiede di chiudere prima. Come terapeuta, posso chiedere l’interruzione del trattamento perché ad esempio, mi trasferisco molto lontano (ovviamente proporrei di continuare online), o per impedimenti personali di qualsiasi genere come ad esempio una malattia.

Il mio compito sarà comunque di accompagnare il paziente verso una buona soluzione, come ad esempio, trovare un altro terapeuta con cui continuare. La chiusura non avviene in modo repentino, ma si elabora assieme.

Quando a decidere è il paziente

Il paziente può decidere in ogni momento di terminare la terapia per qualsiasi motivo: dai più personali ai più pragmatici. Qualunque sia la motivazione, ciò che come terapeuti chiediamo sempre, è di poter fare un ultimo colloquio. Sappiamo che tutto ciò che viene lasciato in sospeso continua ad avere una sua energia e il peso di qualcosa che non è terminato. Un momento finale per dare un senso a quanto fatto, per potersi salutare, è molto importante. Sembrerà strano, ma è importante anche se il motivo per cui si decide di chiudere è perché non si sente affinità con lo psicologo. Già, poter dare voce a quel senso di incomprensione, in un contesto protetto come quello della stanza di terapia, consente di esprimersi e di definire ciò che sta succedendo.

Abbiamo visto come alle volte, chiedere di chiudere può essere un modo per scappare e, uno o più colloqui conclusivi, possono aiutare ad elaborare questo vissuto.

Quando si decide assieme

Nei casi più canonici, invece, la psicoterapia finisce quando deve finire e ognuno avrà i suoi parametri di valutazione. Credo sia complicato anche solo provare a fare un elenco, talmente la variabilità è alta. In generale, ci si sente meglio, si sperimenta maggiore autonomia, si sente che ci sono le risorse e le energie per andare da soli. Tutto questo non avviene all’improvviso, così come all’improvviso non si smette, ma ci si prepara. Questa fase della terapia è molto bella, anche se ovviamente diversa per ogni persona. Assieme si ripercorre il percorso svolto, cosa è successo dentro e fuori la stanza di terapia, si dona significato all’insieme dei passi fatti.

Si valutano anche aspetti pratici, come ad esempio, la frequenza delle sedute, che può cambiare, allungando lo spazio tra una e l’altra. Allo stesso tempo, si può scegliere di lavorare su micro obiettivi, mettendo in campo le competenze apprese finora. Insomma, non si può generalizzare, ma quello che è universale, è dare un senso. Qualsiasi sia il tipo di chiusura, è il senso che si dà assieme che fa la differenza, che fa tornare a casa con un’esperienza elaborata e non lasciata a metà.

Cosa succede dopo?

Dopo si va da soli, ma si concorda anche questo: si può decidere di darsi un aggiornamento dopo qualche mese, o a ridosso di un evento importante del futuro. Si può anche scegliere di chiudere, ma di fare un punto della situazione una volta all’anno. Ancora una volta mi tocca ripetere che ogni percorso è diverso e che ci sono mille possibilità.

Una delle domande più frequenti è: “ma starò bene per sempre?” La risposta è impossibile ma, sicuramente, anche nel futuro più nero, si va con dei buoni strumenti e conoscenza di sé. Se questo equipaggiamento non dovesse bastare, nessuno vieta di tornare in terapia, con lo stesso professionista o con un altro. Si può tornare per un piccolo check o per affrontare nuove sfide. Se si sente di averne bisogno, non c’è nessun motivo contrario a tornare.

Alla fine

Alla fine, la parola dipende, è l’unica che può dare la risposta breve alla domanda: “quando finisce una psicoterapia?” La cosa interessante è che non si tratta di incertezza o di una non risposta. Il fatto che non ci siano risposte standardizzate è ciò che più ci dà la libertà di creare un percorso personalizzato, dall’inizio alla fine. Possiamo pensare che, proprio perché non c’è la risposta facile, stiamo facendo la scelta più adatta per noi. E se ci sono dubbi, domande e perplessità, si può chiedere e trovare assieme la soluzione migliore.

 

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