La psicoterapia funziona, cambia la vita, è una cosa meravigliosa e possiamo dirne tutto il bene, ma, se vogliamo conoscere qualcosa, bisogna parlare anche dei lati più scomodi. Già, perché tutte queste meraviglie che possiamo dire sulla psicoterapia, non avvengono in automatico o, meglio ancora, senza fatica. Parliamo di un processo simile al viaggio dell’eroe nella fiaba: un percorso costellato di sudore, colpi di scena, e giornate niente affatto leggere.
Tra tutti i momenti di difficoltà, ne esiste uno molto particolare: in termini tecnici si chiama drop out, ma noi possiamo chiamarla fuga a gambe levate. Si tratta di quel momento in cui si decide di interrompere la terapia, senza aver raggiunto gli obiettivi definiti, spesso senza averne fatto cenno al proprio psicologo: semplicemente sparendo. Se parliamo di drop out, in senso ampio, possiamo pensare ad un sacco di casi diversi, ma oggi vorrei concentrarmi su quel momento in cui si abbandona un percorso di sostegno psicologico o psicoterapia per un motivo preciso: si sente l’esigenza di scappare.
Devo fare una premessa importante: non sei una brutta persona se hai voglia di scappare, può succedere. Ognuno ha i suoi motivi, consapevoli e non (soprattutto i secondi, non possiamo negarlo). Non importa se ragionevoli o meno, l’intento non è di aprire un processo, ma di capire cosa succede e cosa si può fare.
La famosa gazzella che scappa dal leone
La fuga è uno dei meccanismi di base con cui reagiamo per sopravvivere alle avversità: in inglese sono le tre F, fight, flight or freeze. Sono reazioni che scattano dal momento in cui ci sentiamo minacciati e funzionano molto bene se dobbiamo metterci in salvo da un predatore, ma possono non essere così utili se si attivano “senza giusta causa”.
Se non c’è un leone pronto a sbranarmi, ma uno psicologo che mi sta aiutando a stare meglio, che pago, che mi impegno a raggiungere ogni settimana, perché mi viene voglia di mollare tutto? Se escludiamo tutte le micro differenze individuali, possiamo soffermarci su categorie più grandi.
La frustrazione
Anche se razionalmente lo sappiamo, se noi psicologi lo spieghiamo nel primo colloquio, c’è una parte di noi che fatica ad accettare che i risultati non siano immediati. Non è niente facile tenere duro e continuare, lo so. bisogna impegnarsi, trovare le energie, stare in territori spesso scomodi o spiacevoli. Tutto questo senza una gratificazione immediata. Chiaramente non è facile.
Non è facile neanche capire che si tratti di questo, perché spesso si tende a dare una spiegazione razionale diversa da quello che si prova emotivamente. Ho detto che non ci si sente a proprio agio a lavorare su aspetti emotivi della propria vita che non funzionano o che fanno male. Proprio per questo, è anche difficile dirsi che è si vuole scappare per questa ragione. Diventa più semplice dire che la psicoterapia non funziona, o che non si ha tempo, soldi o altro ancora. Perché così è “ragionevole e accettabile”.
Mi piacerebbe poter togliere un po’ di sensi di colpa e dire che è assolutamente ragionevole e accettabile aver voglia di scappare da una psicoterapia perché non si tollera la frustrazione. In altre parole, è qualcosa che si può dire e, dal momento in cui ci è chiaro che stiamo scappando per questo, possiamo scegliere cosa fare. Ad esempio, parlarne col proprio terapeuta: ti aiuterà a capire cosa sta succedendo e insieme potrete scegliere cosa fare (rallentare, chiudere la terapia, cambiare modo di lavorare, ridefinire gli obiettivi o tutto quello che serve a te).
La motivazione
Concetto complesso, spesso paragonato alla forza di volontà che no, non è la stessa cosa. Non si tratta di “quanto voglio una cosa e quanto sono disposta a fare per arrivarci”. Chiunque stia male vuole stare meglio e, se non ci riesce, non è perché non lo voglia abbastanza. Per arrivare all’obiettivo (ad esempio, stare bene), dobbiamo passare attraverso mille fattori: la paura, i desideri, le aspettative altrui, il livello di energia che abbiamo in quel momento, il supporto o meno di chi ci sta accanto, e un sacco di altre cose. Se le mettiamo tutte assieme, possiamo capire quanto sia difficile riuscire a tenere un alto livello di motivazione.
Per riuscire a stare in terapia e stare meglio, dobbiamo tenere in considerazione la motivazione, ma anche che può vacillare. Non per questo bisogna buttare tutto alle ortiche. Vale lo stesso discorso di prima: quando sento che non ce la faccio, posso dirlo al mio terapeuta. Dar voce a questa fatica è il primo passo per affrontarla e non farsi portare a spasso.
The wind of change
La psicoterapia è un processo di cambiamento. E il cambiamento attiva una forza contraria che cerca di tenere le cose così come stanno. Anche se il cambiamento che cerchiamo è bellissimo, ci sarà comunque una parte di noi che remerà contro. Non giudicatevi e non giudicate: succede e dobbiamo accettarlo.
Proviamo allora a leggere l’insieme: sono in terapia perché voglio stare meglio e lo desidero veramente, ma un giorno mollo tutto, magari scappo senza farmi più sentire. Cos’è successo? La forza che rema contro il cambiamento da me tanto desiderato, ha preso una decisione al posto mio. Tutto subito mi va bene perché mantengo lo status quo, ma di fatto, mi ritrovo al punto di partenza. Anzi, un po’ più sfiduciata rispetto all’inizio, perché ho provato, ma non ci sono riuscita.
Quindi che fare?
Dirlo: “cara la mia terapeuta, ho una voglia matta di scappare e di non farmi sentire mai più”. Punto primo: è la verità, è ciò che state vivendo. Punto secondo: in psicoterapia si lavora su tutto, anche su ciò che sta accadendo tra paziente e terapeuta e se c’è voglia di fuga va bene, parliamone. Parlarne vuol dire dar voce a tutte quelle voci che stanno remando contro, per poterne prendere il controllo. Può far luce sui modi in cui affrontiamo i cambiamenti.
In poche parole, dirlo, invece che farlo, può essere molto più illuminante e tornerete a casa molto più soddisfatti che se foste fuggiti.